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La capacità di entrare in contatto con l’ambiente esterno e relazionare gli stimoli esterni con quelli interni è un elemento cardine nella struttura psicologica di ogni persona. Poter entrare in contatto con l’ambiente circostante e le altre persone gioca un ruolo fondamentale nella capacità del soggetto di elaborare e far fronte ad ogni situazione. Allo stesso modo, la struttura psicologica di ogni individuo necessita anche di una percezione del sé coerente, così da poter gestire in ogni frangente l’interazione fra il self ed il mondo esterno. 

Ma se per la maggior parte delle persone la percezione del sé e dell’ambiente circostante è un processo del tutto automatico, talmente parte dell’esperienza quotidiana da non averne neanche coscienza, alcuni individui possono vivere situazioni in cui entrambi questi elementi vengano meno. 

Il disturbo da derealizzazione e depersonalizzazione, è uno squilibrio della sfera psicologica che appartiene ai disturbi dissociativi, novero di patologie che vanno ad interferire con l’esperienza soggettiva di una persona e con la sua capacità di percepire e relazionarsi con l’ambiente circostante e con sé stesso. Descrittivi di due sintomi diversi, la derealizzazione e la depersonalizzazione vengono spesso utilizzati come sinonimi, per via della loro stretta correlazione. 

Fra i numerosi sintomi della derealizzazione, quello più comunemente riportato dai soggetti affetti da questo disturbo è la “sensazione di non essere presente”, da intendersi come un distacco dall’ambiente circostante che si manifesta con una ridotta risposta fisica ed emotiva agli stimoli esterni. La dissociazione causata dalla depersonalizzazione è invece rivolta verso l’interno, con il soggetto “incapace di riconoscersi”, o di avere alcun senso di sè. 

Nonostante questo disturbo sia ben documentato, l’approccio terapeutico rimane complesso e l’esito incerto. Molto spesso, infatti, i sintomi possono persistere per un lungo periodo di tempo, generando un forte senso di scoraggiamento e frustrazione nel soggetto, che sente di non avere controllo su sé stesso e sulla propria condizione. 

E’ possibile guarire dalla depersonalizzazione? Di quali strumenti dispongono i professionisti dell’igiene mentale per il trattamento dei disturbi dissociativi? La derealizzazione può regredire spontaneamente? 

Nel prosieguo di questo articolo, andremo a rispondere a questi ed altri interrogativi, delineando un profilo della persona affetta da depersonalizzazione / derealizzazione e descrivendo le principali metodologie d’intervento. 

Come abbiamo già accennato, la derealizzazione si distingue dalla depersonalizzazione per via della direzione del fenomeno dissociativo, che non riguarda il sé ma l’ambiente esterno. Il soggetto affetto da derealizzazione può sentirsi “spaesato” anche in ambienti conosciuti, non riuscendo a stabilire una connessione con l’ambiente circostante, avere difficoltà ad orientarsi in località sconosciute, e lamentare in generale uno “scollamento” dall’ambiente circostante. Solitamente, in ambito terapeutico i pazienti riferiscono di “non essere mai veramente da nessuna parte”. 

Il disturbo da depersonalizzazione, come quello da derealizzazione può andare ad interferire con la sfera emotiva, cognitiva, fisica e psicologica del soggetto, ed intaccare drasticamente la qualità di vita del soggetto e la sua funzionalità.

Ottundimento emotivo

L’appiattimento della sfera emotiva è una delle manifestazioni principali dei disturbi dissociativi. A differenza dell’anedonia, disturbo caratteristico della schizofrenia e della depressione, in cui il soggetto non riesce a provare sensazioni positive, nella depersonalizzazione i pazienti riferiscono di una marcata riduzione sia nelle sensazioni normalmente considerate positive che in quelle considerate negative. Molto spesso, in ambito terapeutico il paziente riferisce di difficoltà interpersonali, soprattutto nei rapporti con amici e familiari, scaturite da una mancanza di empatia nei confronti degli altri soggetti

Rallentamento cognitivo

Caratteristiche sia della depersonalizzazione che della derealizzazione, le difficoltà cognitive possono andare ad interessare diverse capacità del soggetto, come quelle di pianificazione ed astrazione, nonché di memoria ed elaborazione delle informazioni. Gravati da questo rallentamento, i pazienti notano spesso una netta riduzione nella ricchezza del proprio vocabolario, la sensazione di non sapere se una frase pronunciata sia corretta o meno, e la tendenza a riflettere eccessivamente su ciò che intendono dire, per verificarne la sensatezza. Una caratteristica ricorrente nei disturbi del linguaggio legati a derealizzazione e depersonalizzazione, è il minor utilizzo di modi di dire ed espressioni retoriche o figurate, a favore di un linguaggio più semplice e letterale. 

Memoria

I disturbi della sfera cognitiva possono anche riguardare la capacità di immagazzinamento e richiamo dei ricordi, soprattutto breve termine. I soggetti con depersonalizzazione o derealizzazione si ritrovano a ricordare con fatica avvenimenti recenti, come i cibi consumati durante gli ultimi pasti o le attività svolte durante la giornata. Altro tratto caratteristico dei disturbi della memoria collegati a disturbi dissociativi, è la difficoltà di collocare nel tempo eventi recentemente accaduti anche quando in grado di richiamarli alla memoria. 

Isolamento e sintomi psichiatrici

Sia la depersonalizzazione che la derealizzazione possono portare allo sviluppo di sintomi psichiatrici che non rientrano nel novero delle manifestazioni dei disturbi dissociativi, ma che ne rappresentano una conseguenza. Nei soggetti affetti da derealizzazione, la mancanza di connessione con l’ambiente circostante può portare allo sviluppo di tratti ansiosi, che se non trattati in maniera appropriata possono degenerare in vere e proprie crisi di panico. 

Un’altra conseguenza spesso osservata nei pazienti affetti da depersonalizzazione, è lo sviluppo di tratti depressivi. La riduzione delle proprie capacità cognitive e della risonanza emotiva,  porta spesso  i soggetti che convivono con questo disturbo a ridurre i contatti sociali e cercare l’isolamento. La depressione indotta da derealizzazione o depersonalizzazione aggiunge ai sintomi del disturbo dissociativo quelli solitamente osservati nei disturbi del tono umorale, fra cui: 

  • disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia)
  • aumento o calo ponderale
  • diminuzione della libido
  • diminuzione nella frequenza dei rapporti sessuali
  • ridotta godibilità nelle interazioni sociali

Frammentazione identitaria

La perdita del senso di sé è un sintomo tipico della depersonalizzazione. I soggetti con diagnosi di disturbo dissociativo da depersonalizzazione lamentano la perdita della propria percezione di sé e dei vecchi feedback interni. Questi pazienti arrivano a descrivere sé stessi come “un insieme di comportamenti e convinzioni” senza alcuna consapevolezza o identità, esternando un forte senso di preoccupazione per la propria sanità mentale e arrivando a pensare di star perdendo la ragione.

La depersonalizzazione non ha un’eziologia precisa, e spesso il suo trattamento può risultare di natura complessa, al punto che molti professionisti dell’igiene mentale approcciano il disturbo tentando di trattarlo in modo “indiretto”, andando a lavorare sugli elementi di disturbo nella vita del paziente tentando di favorire il ritrovamento del vecchio equilibrio psicologico. 

In ambito terapeutico, tuttavia, è facile individuare nella storia dei pazienti affetti da depersonalizzazione un evento di grande rilevanza verificatosi nel periodo precedente all’insorgenza del disturbo. Questa dinamica, che sembra accomunare un’importante percentuale dei pazienti affetti da derealizzazione/depersonalizzazione, ha portato la psicologia moderna a ritenere queste condizioni una risposta di adattamento ad un trauma che il soggetto non sia riuscito ad elaborare. La depersonalizzazione sarebbe quindi una strategia utilizzata per ridurre l’intensità emotiva dell’esperienza, che va erroneamente a traslarsi sulla totalità della quotidianità del soggetto. Esempi di traumi solitamente riportati da soggetti affetti da derealizzazione possono includere (ma non si limitano a): incidenti stradali, abusi, violenze, lutti e catastrofi naturali. 

Patologie fisiche e disturbi dissociativi

Sebbene la depersonalizzazione sia un disturbo che si manifesti con sintomi psicologici, non sempre le cause vanno ricercate nella sfera mentale del soggetto. La derealizzazione può anche essere il risultato di squilibri fisiologici e patologie fisiche, che possono mimare i sintomi di questo disturbo o propiziare l’insorgenza. Fra le cause fisiologiche della derealizzazione, si annoverano disturbi ormonali (in particolare quando collegati a condizioni tiroidee), patologie autoimmuni e infiammatorie, epatopatie, carenze vitaminiche e livelli alterati di elettroliti. Di fronte ad un paziente che riferisca di sintomi da depersonalizzazione protratti nel tempo, il medico curante può richiedere esami del sangue approfonditi per sondare la possibilità di patologie latenti. 

I sintomi della derealizzazione tendono a rientrare spontaneamente con il tempo. Molto spesso, tuttavia, la sintomatologia può persistere per anni e, in alcuni casi, può non regredire da sé. Il trattamento di questo disturbo risulta particolarmente ostico, poiché l’eziologia non chiara si accompagna ad una scarsa responsività agli psicofarmaci. Come già accennato in precedenza, infatti, in sede terapeutica spesso si tende a trattare questo disturbo andando a lavorare sui vari elementi di disturbo nella vita del soggetto, favorendo quindi un naturale ritorno al vecchio equilibrio psicologico. In assenza di un evento traumatico al quale ricondurre l’insorgenza della sintomatologia, il terapeuta quindi tratterà la depersonalizzazione come un sintomo, aiutando il paziente attraverso diversi strumenti: 

Terapia Cognitivo-Comportamentale

La terapia cognitivo comportamentale è una forma di psicoterapia fra le più diffuse al mondo. Considerato il capostipite nel trattamento di un folto numero di squilibri psicologici, questo approccio terapeutico si basa sul presupposto secondo cui gli schemi comportamentali del soggetto siano il riflesso di specifici pattern psicologici (principalmente valori, convinzioni su sé stessi e sull’ambiente esterno), e che in presenza di una deviazione patologica della personalità si debbano ricercare le cause in un pattern psicologico in disequilibrio.  

La terapia cognitivo comportamentale nel trattamento della depersonalizzazione può avere due scopi. In presenza di un evento traumatico a cui ricollegare inequivocabilmente l’insorgenza dei sintomi da derealizzazione, può andare ad aiutare il paziente a metabolizzare l’avvenimento ristrutturandone il significato, per eliminare la necessità del soggetto di distaccarsi dalla realtà. Nel caso in cui invece la depersonalizzazione non sia riconducibile ad alcun avvenimento in particolare, il terapeuta può aiutare il paziente ad individuare e lavorare sugli elementi di disturbo nella sua vita, così da lavorare indirettamente sui sintomi della derealizzazione. 

EMDR

L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing è una forma di psicoterapia utilizzata nel trattamento di traumi ed eventi stressanti che conservino un marcato impatto emotivo sul soggetto anche a distanza di tempo. Nel trattare un paziente con EMDR, il terapeuta chiederà di rievocare il ricordo e le sensazioni ad esso associate, invitandolo al contempo a seguire con gli occhi il movimento di un oggetto (o delle proprie dita), con il quale disegnerà delle traiettorie specifiche. 

Nonostante l’EMDR possa vantare diverse ricerche scientifiche a sostegno della propria validità, il suo meccanismo d’azione non è compreso appieno. Secondo la Dottoressa Shapiro, inventrice di questa metodologia, l’evento traumatico indurrebbe una codifica del ricordo solo parziale, che non consentirebbe al paziente di metabolizzare con armonia l’accadimento. Sempre secondo la Shapiro, l’EMDR sarebbe in grado di propiziare una completa elaborazione dell’evento traumatico, andando ad attivare le stesse regioni cerebrali normalmente attive durante la fase REM del sonno.

Nei casi in cui la depersonalizzazione sia insorta in seguito ad un evento traumatizzante come meccanismo di difesa, l’utilizzo dell’EMDR può portare grande giovamento al paziente, non solo nella gestione dei sintomi della derealizzazione ma anche per l’elaborazione di quanto accaduto. 

Psicofarmaci e depersonalizzazione

Gli psicofarmaci sono fra le terapie d’elezione per il trattamento di una lunga lista di disturbi mentali. Solitamente efficaci nella gestione della sintomatologia depressiva e ansiosa, questi composti sono spesso prescritti come “sostegno” terapeutico capace di facilitare il lavoro del professionista. La loro efficacia tuttavia non sembra estendersi anche ai disturbi dissociativi, in particolare alla depersonalizzazione, i cui sintomi non sembrano essere leniti da alcuna categoria di psicofarmaci. Considerata la possibilità di reazioni avverse ed effetti collaterali a lungo periodo, la loro prescrizione in pazienti affetti da questo disturbo è piuttosto rara. 

Non è possibile definire una prognosi nei disturbi da depersonalizzazione e derealizzazione. I disturbi dissociativi possono presentare un’enorme variabilità e differire da soggetto a soggetto non solo per carattere (cronico, intermittente), ma anche per gravità dei sintomi. I disturbi da depersonalizzazione e derealizzazione che si presentano a seguito di un trauma o un evento stressante tendono a rispondere positivamente agli interventi terapeutici, mentre in altre circostante gli sforzi del soggetto possono rivelarsi poco efficaci e non andare oltre il lenimento marginale della sintomatologia. 

Nonostante la tendenza dei disturbi dissociativi alla cronicità, la depersonalizzazione e la derealizzazione possono regredire spontaneamente in un lasso di tempo variabile, solitamente settimane o mesi, anche in assenza di interventi terapeutici mirati. Nei casi di dissociazione protratta nel tempo, è bene rivolgersi al proprio medico di base per escludere la presenza di patologie che presentino fra si manifestino con sintomi simili alla depersonalizzazione e alla derealizzazione. 

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